di Alberto Mattioli, giornalista e scrittore; autore dei libri:
"Big Luciano - Pavarotti la vera storia" (Mondadori)
"Anche stasera - Come l'opera ti cambia la vita" (Mondadori)
"Meno grigi più Verdi" (Garzanti)
"Pazzo per l'opera" (Garzanti)
Modena terra di passioni melodrammatiche? Certamente sì, e prima ancora che il melodramma fosse inventato. Perché il più importante dei precursori della più italiana delle forme artistiche è un modenese, Orazio Vecchi (1550-1605), a tutt’oggi il più celebre dei musicisti nati qui e infatti celebrato dall’intitolazione del liceo musicale cittadino. Come musica, il suo Amfiparnaso (1597) è legato alla tradizione madrigalesca; ma la drammaturgia è del tutto “operistica” e, per inciso, ancora assai godibile.
L’altro grande protagonista dei primi anni dell’opera lirica a Modena non è un musicista ma uno scenografo, Carlo Vigarani (1637-1713), figlio d’arte (il padre Gasparo, nato a Reggio Emilia, era pure scenografo) e uno dei grandi creatori di “effetti speciali” del Seicento. Fu lui ad allestire per il Re Sole la “Salle des machines” delle Tuileries copiandola pari pari da quella del teatro ducale della Spelta, che sorgeva in piazza Grande. Ma il Seicento, a Modena, è soprattutto il secolo dell’oratorio, sorta di melodramma religioso realizzato spesso con grande dispendio di macchine teatrali ed effetti scenici, in quel “teatro” sacro che è la chiesa di Sant’Agostino°°. Di questa illustre stagione della musica “made in Modena” non resta solo la memorialistica, ma anche una grande collezione di oratori custodita alla Biblioteca estense.
Dopo Vecchi, il maggior compositore modenese è Giovanni Bononcini (1670-1747), anche lui uscito da una famiglia tutta di musicisti. Gli appassionati di Georg Friedrich Händel lo conoscono bene, perché Bononcini si trasferì a Londra nel 1720, iniziando con il Sassone una rivalità operistica che divenne anche politica. Händel era infatti sostenuto dal Re e dai Tories, Bononcini dal Principe di Galles e dai Whigs. La contesa finì quando Bononcini fu accusato di aver plagiato un brano di Antonio Lotti e dovette lasciare Londra (morirà poi, povero e dimenticato, a Vienna). La sua aria “Per la gloria d’adorarvi”, da Griselda, finì nella celebre raccolta del Parisotti e quindi nel repertorio di tutti i maggiori vocalisti italiani.
Se, Vecchi e Bononcini a parte, Modena non è stata troppo prodiga di creatori, lo è sempre stata, però, di esecutori. Qui si possono ricordare solo i maggiori. Per esempio, nel Settecento, il tenore Francesco Borosini (circa 1688-circa 1750), che fu uno dei grandi protagonisti della breve ma scintillante stagione dell’opera italiana a Londra, quella appunto di Bononcini e di Händel. Per lui, quest’ultimo scrisse le sue due parti di tenore più belle e intense: Bajazet in Tamerlano e Grimoaldo in Rodelinda.
Nel secolo seguente, bisogna almeno ricordare Luigia Boccabadati (1799 o 1800-1850), celeberrimo soprano che debuttò a Modena nel 1819 e diede origine a una vera dinastia di cantanti che arriva fino al Novecento. Paradossalmente, Luigia è passata alla storia per la sua prestazione meno brillante. Accadde a Napoli, al Real teatro di San Carlo, nel 1830 in occasione del debutto del Diluvio universale di Donizetti, classica opera “quaresimale” di soggetto sacro. Nel finale del primo atto, la Boccabadati sbagliò l’attacco del grande concertato, mandando fuori tempo tutti i colleghi, distruggendo la pagina e con lei l’opera e facendone infuriare l’illustre autore.
Modena, nell’Ottocento, era terra di grandi passioni operistiche, con più di un teatro attivo. Esisteva un teatro di Corte, accanto al Palazzo Ducale°°, mentre il Comunale vecchio, poco distante dal nuovo, fu rimpiazzato nel 1842 dall’attuale edificio, negli ultimi decenni restaurato con cura ed eccellenti risultati, anche per l’acustica. A giudicare dal repertorio e dai nomi dei suoi interpreti, le stagioni ottocentesche furono di buon livello, anche se dopo il 1859, con il “declassamento” della città non più capitale, persero un po’ di smalto. Da segnalare che fu a Modena che Giuseppina Strepponi, poi seconda moglie e grande amore di Giuseppe Verdi, salì per l’ultima volta su un palcoscenico per cantare Nabucco, che Verdi aveva scritto per lei. Fu trovata sempre affascinante come interprete ma assai compromessa come vocalista; giudizio duro ma, alla prova dei fatti (fu la fine della carriera della Strepponi) condivisibile.
Un altro avvenimento di rilievo della vita operistica modenese dell’Ottocento fu la prima assoluta del “nuovo” Don Carlo. L’opera, com’è noto, debuttò nel 1867 all’Opéra di Parigi, ovviamente in francese, in cinque atti e con il titolo Don Carlos. Verdi la rifece per la Scala, nel 1884, in italiano, in quattro atti e con il titolo senza la “esse”. Nel dicembre 1886, una “terza” edizione (in italiano, ma in cinque atti) fu presentata al Comunale e infatti da allora è nota come Don Carlo “di Modena”. Verdi non presenziò né (ri)mise mano alla nuova edizione; ma è quasi certo che l’approvò o almeno non si oppose.
Il Novecento dell’opera a Modena è quello dei grandi cantanti nati qui. Soprattutto due, che vennero al mondo nello stesso anno, il 1935 e, vuole l’aneddoto raccontato in infinite interviste, divisero anche la stessa balia, perché le madri lavoravano entrambe alla Manifattura tabacchi e non potevano allattare.
Luciano Pavarotti (scomparso nel 2007) è stato senz’altro il più celebre tenore del Dopoguerra. Da piccolo, cantava col padre la messa nella chiesa di Santa Maria delle Assi, e fu corista della celebre Corale Rossini (una delle più antiche d’Italia, tuttora attiva, fondata nel 1887). Dopo la vittoria al concorso “Peri”, debuttò nel 1961 al Municipale di Reggio Emilia come Rodolfo nella Bohème. Fu l’inizio della più straordinaria carriera contemporanea di un cantante d’opera. Il “re del do di petto”, come fu battezzato dopo lo straordinario exploit di cantarne nove di fila in una sola cabaletta della Fille du régiment di Donizetti, conquistò prima l’Europa e poi gli Stati Uniti, dove la sua popolarità raggiunse vette toccate in precedenza dal solo Enrico Caruso. Gli Anni Settanta e Ottanta furono anche l’epoca dei grandi concerti in stadi, parchi e arene, in cui al repertorio d’opera si affiancavano i classici di quello cameristico e le hit della canzone italiana più nazionalpopolare. Il culmine di questa attività fu, nel 1990, il celeberrimo (o famigerato, a seconda dei gusti) “Concerto dei tre tenori”, nel quale Pavarotti e i suoi amici-rivali Plácido Domingo e José Carreras inventarono un vero e proprio show poi ripetuto con enorme successo in tutto il mondo. Negli Anni Novanta, in contemporanea con l’inevitabile declino vocale, Pavarotti iniziò a proporre, a scopo benefico, delle serate di “crossover” con artisti della scena pop. Questo “Pavarotti and friends” si svolgeva una volta all’anno a Modena, quasi sempre al Parco Novi Sad e per quella sera Modena tornava capitale, sia per la presenza di star internazionali (Eric Clapton, Sting, Steve Wonder, le Spice Girls, per non citare che i primi) che di un pubblico di celebrità internazionali come lady Diana o il Dalai Lama.
La “sorella di latte” di Pavarotti, Mirella Freni (nome d’arte di Mirella Fregni), invece, non è mai uscita dal seminato dell’opera. Ma è stato probabilmente il più celebre soprano italiano del Dopoguerra. Dopo il debutto al Comunale di Modena°° (nel 1955 in Carmen), conquistò rapidamente tutte le principali “piazze” operistiche. E stabilì un rapporto privilegiato con alcune delle massime personalità del podio come Herbert von Karajan (con il quale, alla Scala nel ’61, tenne a battesimo la celeberrima produzione di Bohème di Franco Zeffirelli, poi continuamente riproposta in tutto il mondo), Carlos Kleiber o Claudio Abbado (il non meno celebre Simon Boccanegra con la regia di Giorgio Strehler). Modello di antidiva ma professionista di eccezionale determinazione e serietà, dopo il ritiro dalle scene la Freni si è dedicata all’insegnamento.
Il panorama delle grandi voci modenesi non è tuttavia completo se non se ne citano due, importantissime, diciamo così “d’importazione”, cioè che non sono nate a Modena ma qui hanno deciso di vivere. Sono entrambe bulgare. Raina Kabaivanska (nata nel 1934) è stata un’importante primadonna, specializzata nel repertorio “fin-de-siècle”. Nicolai Ghiaurov (1929-2004), uno dei più importanti bassi del Novecento, legato da una lunga storia professionale e umana a Mirella Freni. Quella dei quattro “modenesi” (Pavarotti-Freni-Kabaivanska-Ghiaurov) è stata una generazione eccezionale e una concentrazione di talenti probabilmente irripetibile. E infatti, per il momento, non ripetuta.
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