Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, il luogo dove sorge attualmente il Palazzo Comunale fu, sin dalla nascita del libero Comune nel XII secolo, sede delle autorità municipali: anche per questa continuità storica l’intera piazza, e non solo la Cattedrale, è stata inserita nel patrimonio UNESCO.
L’articolato complesso visitabile oggi è il risultato di numerosissimi rimaneggiamenti susseguitisi negli anni. La zona, nel periodo compreso tra i secoli XI e XV, era occupata da non meno di dodici palazzi: dall’antichissimo Palacio Urbis Mutinae al Palatium vetus, dal Palazzo dei Notai (di cui ancora si possono vedere le arcate originali sotto al portico di sinistra in facciata), al più tardo Palazzo del Marchese d’Este.
Oggi il Municipio si snoda, dividendosi approssimativamente in tre parti, tra Piazza Grande, via Emilia°°, via Scudari e via Castellaro.
La facciata sulla via Emilia°° si divide in due ali, separate dalla piazzetta delle Ova: quella verso la Ghirlandina venne progettata da Pierto Termanini nella seconda metà del XVIII secolo; quella verso via Scudari (che poi prosegue in Castellaro) da Giovan Battista Massari, dello stesso periodo, ma dal più spiccato gusto settecentesco.
La citata piazzetta delle Ova prende il nome dai prodotti che vi si vendevano quando era occupata dal mercato giornaliero, ed è dominata dall’orologio con quadrante trasparente (1868). Il meccanismo che lo fa muovere è un vero prodigio: progettato da Ludovico Gavioli, infatti, riesce a regolare l’ora anche del quadrante principale posto su Piazza Grande, sennonché tra i due vi siano quasi quaranta metri di distanza, piani trasversali e diversi metri di dislivello!
Sotto al portico di destra, per terra è il mosaico con l’antico stemma del Comune (XII secolo), alle pareti targhe commemorative: delle milizie modenesi sul Mincio nel 1848, dei concittadini morti durate le battaglie del Risorgimento e di Pietro Giannone.
A metà circa di via Scudari (lato orientale del Palazzo) si apre invece il nucleo più antico dell’intera costruzione: il cortile medievale in cui spicca la statua del Perseo, già presso palazzo Campori. Le scale con corrimano in antico marmo che salgono al primo piano, così come le travi di legno che si vedono in cima, danno all’insieme un marcato tono medievale.
Su Piazza Grande si affaccia però il prospetto principale del Palazzo, scandito dalle arcate, in marmo bianco, secondo il disegno seicentesco di Raffaele Rinaldi detto il Menia. La possente torre dell’orologio, già arengario del popolo, fu realizzata tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento (con il cupolino del 1508 progettato da Bartolomeo Bonascia, concluso in una banderuola a forma di angelo sopra facce che rappresentano i venti). Da notare nella torre è la sovrapposizione degli ordini di colonne in marmo opera di Ambrogio Tagliapietra, nonché l’orologio mosso dal meccanismo del Gavioli (circondato da belle sculture dei venti). Il balcone è invece occupato da una statua dell’Immacolata di Giuseppe Mazza, collocata nel 1805 in occasione della visita in città di Papa Pio VII, posta sul basamento che fu già il piedistallo per lo sfortunato monumento equestre a Francesco III in piazza Sant’Agostino°°. Da questo balcone si affacciò, tra gli altri, Vittorio Emanuele III quando giunse a Modena nel 1929.
A sinistra della Torre dell’Orologio, si può notare ciò che rimane dell’antica torre comunale (oggi detta ‘mozza’, praticamente un moncone di mattoni), luogo in cui venivano custoditi i documenti più importanti e in cui venivano eseguite le condanne capitali. Gravemente danneggiata dal terremoto del 1501, venne demolita qualche anno dopo, ma in numerose raffigurazioni della città antecedenti quella data la si vede tuttora.
Sotto al portico, presso il voltone che conduce alla piazzetta delle Ova e quindi a Piazza Mazzini°°, sulla destra, si apre la sede dell’ufficio turistico: sul pavimento alcuni resti antichi in muratura testimoniano le costruzioni che si ergevano in zona, mentre il soffitto è una suggestiva rappresentazione delle costellazioni così come si possono vedere di notte dalla città.
Poco più avanti si apre lo scalone principale di accesso al Palazzo, a rampa unica, costruito nel 1563 su progetto di Pellegrino Rinaldi, interrotto dalla bella cancellata con gli stemmi del Comune. Giunti così al primo piano, al termine della scala che conduce invece su via Scudari, si possono ammirare, sulle pareti della loggia, alcune lapidi marmoree. Una per la Medaglia d’Oro conferita alla città per la Resistenza partigiana; un’altra dedicata a Raimondo Montecuccoli, geniale e invitto generale del Seicento che, a capo delle truppe imperiali, impedì l’avanzata ottomana verso l’Europa; due per i martiri della Prima Guerra Mondiale, al cui bollettino della vittoria (firmato Diaz) fa riferimento una quinta lastra; Francesco Guicciardini, governatore della città durante il periodo papale, è invece ricordato come ‘patrizio fiorentino’; Ferruccio Teglio e Alfeo Corassori furono due sindaci della prima metà del Novecento, Alessandro Coppi il presidente del Comitato provinciale di liberazione; un’ultima targa ricorda infine il grande Enrico Cialdini, generale modenese comandante vittorioso di tante battaglie del Risorgimento italiano.
A sinistra si accede alle sale più importanti del Palazzo.
Il corridoio di accesso, già sede dell’albo pretorio del Comune, è oggi abbellito da tele dipinte dai giovani artisti modenesi che poterono usufruire del premio, istituito dal 1872, per volontà del grande architetto Luigi Poletti. Di tema prevalentemente classico, gli autori sono Giovanni Muzzioli, Eugenio Zampighi, Massimiliano Prandini ed Ernesto Parmeggiani.
La porta a destra conduce alla Sala della Torre Mozza, in cui rimangono parti del muro di quella che fu la torre comunale prima del 1501. Alle pareti quadri di artisti locali del XX secolo. L’ambiente ulteriore ospita ritratti dei modenesi più illustri eseguiti da Girolamo Vannulli nel Settecento e cassapanche dipinte con i simboli del Comune. Cominciano qui le sale più prestigiose del Palazzo.
La prima è il cosiddetto Camerino dei Confirmati, ambiente di passaggio decorato con trompe l’oeil del 1770 da Giuseppe Carbonari e busti (ritraenti Bartolomeo Schedoni, Francesco Vellani, Ercole dell’Abate e Francesco Vaccari) di Girolamo Vannulli. Di fronte alla finestra è collocata la preziosissima Secchia Rapita, il trofeo strappato ai bolognesi nella battaglia di Zapponino del 1325. Conservata per 650 anni dentro la Ghirlandina, oggi è là sostituita da una copia. La vicenda, com’è noto, ispirò ad Alessandro Tassoni il poema eroicomico intitolato appunto “La Secchia Rapita”.
A destra si apre la Sala del Fuoco, che prende il nome dal grande camino da cui gli ambulanti di piazza potevano attingere tizzoni per scaldarsi. Alle pareti è affrescato uno dei maggiori esempi di pittura murale a tema storico della fine del XVI secolo. Le vicende della battaglia di Modena del 44 a.C. vennero dipinte da Nicolò dell’Abate (morto a Fontainbleu, dove lavorò per il Re di Francia, nel 1571) su progetto dello storico Ludovico Castelvetro. Cominciando dalla sinistra della finestra di fronte all’ingresso, Decimo Bruto si prepara a combattere Antonio, che aveva posto l’assedio a Modena; i due eserciti si scontrano in battaglia; si incontrano Antonio, Ottaviano e Lepido; Decimo Bruto e Ottaviano sulle sponde del Lavino. Sul camino, Ercole uccide il leone. Il soffitto è preceduto da un fregio dorico con gli stemmi del Comune ed è decorato a cassettoni, con al centro un bellissimo scudo giallo e blu, simbolo della città (di Giacomo Cavazza, Alberto Fontana e Ludovico Brancolini, XVI secolo).
Ritornando nel Camerino dei Confirmati comincia l’infilata delle altre sale storiche.
La prima cui si accede è la Sala del Vecchio Consiglio, dove si riuniva il governo prima del trasloco nell’attuale aula in un’altra ala del Palazzo. Gli scranni dei dodici conservatori sono del Cinquecento, le pareti ricoperte di seta dorata. Su quella di fronte alla finestra domina la tela seicentesca di Ludovico Lana con Madonna, Bambino e San Geminiano che offre loro simbolicamente la città (1633, interessante notare la torre oggi mozza. In origine si trattava di uno stendardo processionale dipinto dopo la peste del 1630). Il ricchissimo soffitto venne dipinto da Bartolomeo Schedoni ed Ercole dell’Abate (discendente di Nicolò) nel 1608: al centro si uniscono le insegne ducali (l’aquila) e quelle comunali (le trivelle); nei riquadri ai lati, Coriolano, Mencio Tebano, Ercole Gallico e le Sette Armonie Greche. Nel fregio, di Francesco Vellani, storie di San Geminiano (1766).
Segue la Sala degli Arazzi, già archivio, sede dei conservatori e ufficio del Sindaco. Nonostante il nome, gli arazzi sono in realtà dipinti parietali di Girolamo Vannulli e Francesco Maria Vaccari. In essi è rappresentata la Pace di Costanza, che rimanda alla nascita del libero comune durante le vicende della Lega Lombarda: il trattato viene preparato, il podestà riceve l’omaggio dei capi, il trattato è firmato. Sul camino, l’Abbondanza; al centro del soffitto, la Carità. Ben riuscite sono anche le tempere che corredano i grandi riquadri, come le urne sopra le porte. Il mobile a ribalta è del 1767 di Giacomo Manzini.
L’ultima sala della serie è la Sala dei Matrimoni, in cui spicca il soffitto con lo stemma del comune retto da due angeli. Un tempo il vasto ambiente era usato come archivio. In un angolo, il piccolo organo è del 1861. Alle pareti sono appesi quadri del maggiore pittore modenese dell’Ottocento, Adeodato Malatesta (1806-91), tra cui il Filottete, l’Adorazione del Bambino e numerosi ritratti delle famiglie cittadine più in vista dell’epoca, di gusto classicista.
Tra le altre stanze del palazzo degne di nota si segnalano la sala delle bifore, in cui si possono ammirare i resti dell’antico palazzo dei notai o della ragione; le antiche prigioni, in cui vennero rinchiusi eccellenti patrioti come don Giuseppe Andreoli e Antonio Morandi; la sala dei passi perduti, originariamente conforteria per i condannati a morte, con delicati affreschi settecenteschi a trompe l’oeil; l’acetaia comunale, costruita nel 2003 per tutelare anche in Municipio il preziosissimo aceto balsamico tradizionale.
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